Il 2000 si era chiuso con aspettative e progetti per il settore artigianale che lasciavano presagire un ritorno prepotente alle "Arti e mestieri", riassegnando all´artigiano un ruolo di primissimo piano nell´economia nazionale. Ma è risultato tutto più complicato delle previsioni.
In un epoca fortemente informatizzata è mancato il salto di qualità, quell´evoluzione capace di portare innovazione: il sapere manuale non ha sposato il sapere accademico e si torna a considerare le professioni manuali un retaggio del passato.
Complice di questo stallo che sa di "involuzione" la mancanza di ricambi generazionali: i lavori "sporchi" sono rimasti appannaggio della classe genitoriale o come nello stile americano, di esclusiva pertinenza extracomunitaria, due classi che per differenti motivi non hanno fatto propria la voglia di innovazione.
Le nuove generazioni hanno percepito la difficoltà dell´artigiano nel tramutare in valore economico le proprie competenze e il disinteresse delle nuove leve non è stato contrastato da adeguata formazione professionale; le associazioni di categoria non hanno fatto sentire la loro voce per combattere l´inefficacia delle leggi a tutela del settore e l´imprenditoria, quando si avvicina all´artigianato lo fa solo per uniformarsi ad uno standard, il famoso modello europeo che si è rivelato un contenitore vuoto, con l´obiettivo di accedere a fondi e finanziamenti che hanno davvero poco a che vedere con la tradizione artigianale che sembra non interessare più le masse.
Ma se si tornerà a considerare l´artigianato una risorsa capace di competitività nei mercati globali si otterrà di colpo un acceleratore di innovazione di cui probabilmente ignoriamo la portata.